JAVON KINLAW
dal marciapiede alla NFL, la storia di un gigante che non doveva farcela
Se oggi lo vedi correre con la maglia dei Washington Commanders, con quei 150 chili di muscoli che terrorizzano le linee offensive, non immagini il percorso che Javon Kinlaw ha dovuto fare per arrivare fin lì. Non parlo di allenamenti duri, di diete o di schemi difensivi. Parlo di sopravvivere. Letteralmente.
INFANZIA
Kinlaw nasce a Port of Spain, Trinidad e Tobago. La madre, con una valigia scassata e poche speranze, lo porta negli Stati Uniti per cercare un futuro migliore. “Futuro migliore” è un concetto che a Javon resterà estraneo per anni: la sua infanzia in South Carolina è fatta di motel a ore, case di fortuna, periodi da senzatetto. Il padre? Violento, assente, quando c’è è solo fonte di dolore. A 13 anni Javon viene letteralmente cacciato di casa. Da quel momento la sua vita diventa un continuo spostarsi: amici, parenti, chiunque possa ospitarlo per qualche settimana.
In un’intervista lui stesso ha ricordato la crudezza della vita quotidiana:
> «Avevamo solo il gas, una stufa a gas. Accendevamo i fornelli con un fiammifero, mettevamo a bollire una pentola alta d’acqua, poi la mescolavamo con acqua fredda e la versavamo in un secchio. Così ci facevamo la doccia, portandola su al piano di sopra.»
«Da piccoli, non avevamo nemmeno un letto vero dove dormire.»
E poi aggiunge un passaggio ancora più drammatico:
> «A 13 anni lasciai Washington. Fu mia madre a orchestrare quella decisione, convinta che lontano da lì avrei avuto una vita migliore. Io ci credevo allo stesso modo.»
FOOTBALL COME ANCORA DI SALVEZZA
Il football non era un sogno: era un rifugio. “Là dentro potevo picchiare qualcuno senza essere arrestato”, dirà più avanti. Il campo era l’unico luogo dove la sua rabbia diventava energia legittima. Senza mezzi, senza soldi, senza nemmeno un paio di scarpe degne: spesso giocava con attrezzature vecchie, prese in prestito.
ESPLOSIONE AL COLLEGE
Kinlaw non aveva i voti né i mezzi per andare subito in una grande università. Ha quindi iniziato dal Jones County Junior College (JUCO) in Mississippi, con una borsa parziale e condizioni minime. Giocava in stadi semivuoti, ma lo faceva con la fame di chi non aveva alternative. Da lì si mette in mostra e conquista l’attenzione della University of South Carolina, che gli offre una borsa di studio completa. Questo gli ha permesso di avere per la prima volta nella vita:
una camera e un letto garantito,
3 pasti al giorno,
l’accesso a strutture sanitarie e sportive di alto livello,
la sicurezza di poter pensare al futuro senza il peso dei costi (oltre 50.000 $ l’anno).
Per uno che fino a poco prima dormiva per strada, la borsa di studio non era un “privilegio”: era il biglietto per sopravvivere.
South Carolina lo accoglie, e lì Kinlaw si trasforma da ragazzone arrabbiato in un prospect da primo giro. Allo Senior Bowl 2020 si presenta con una fame che non è solo metafora: è la stessa fame di chi ha passato notti senza cena. Lì i coach vedono non solo un defensive tackle, ma un sopravvissuto.
DRAFT E NFL
I San Francisco 49ers lo scelgono al primo giro del Draft 2020 (14esimo assoluto). È il coronamento di un sogno impensabile: il ragazzino senza casa è ora milionario. Non tutto, però, diventa magico: gli infortuni ne rallentano la carriera, lo spingono ai margini. Ma Javon non è nuovo alle cadute. Nel 2024 rinasce con i Washington Commanders, firmando un contratto da 45 milioni di dollari in tre anni. Oggi Kinlaw non dimentica. Organizza eventi per distribuire materiale scolastico, incontra bambini che vivono la stessa povertà che lui conosceva. Non parla da motivatore patinato, ma da uomo che ha dormito in auto, che ha nascosto le lacrime per non sembrare debole.
QUESTA STORIA CONTA
Kinlaw non è un “miracolo sportivo”: è la prova che il football può essere scialuppa di salvataggio in un oceano di merda. Non è romantico, è brutale: senza il football sarebbe probabilmente finito in prigione o peggio. Oggi quando scende in campo, porta con sé non solo la difesa di Washington, ma tutti i fantasmi di un’infanzia che avrebbe ucciso la maggior parte dei ragazzi.