BAKER MAYFIELD
Il quarterback che rifiutò di arrendersi
Dall’arroganza del numero uno assoluto alla rinascita a Tampa Bay: la storia di un quarterback che ha imparato a perdere per tornare a vincere.
C’è un momento nella carriera di ogni atleta in cui la narrazione pubblica si rompe.
Per Baker Mayfield quel momento arrivò troppo presto, troppo rumorosamente e con troppi riflettori puntati addosso.
Da prima scelta assoluta del Draft 2018 a Cleveland — la città che aveva visto naufragare decine di quarterback prima di lui — a oggetto di scherno, meme e paragoni ingenerosi, il passo fu breve. Ma ciò che rende la sua storia diversa dalle altre è che Mayfield non è mai scomparso. È rimasto lì, tra le macerie della sua reputazione, fino a ritrovare sé stesso.
Questa è la storia di un ragazzo sottovalutato e insieme sopravvalutato, idolatrato e detestato, che ha vissuto sulla sua pelle tutto ciò che l’NFL può dare e togliere. Una storia di talento, testardaggine e sopravvivenza emotiva.
L’inizio: walk-on, orgoglio e provocazione
Baker Reagan Mayfield nasce ad Austin, Texas, nel 1995. Il suo nome di battesimo — “Baker” — sembra già scritto per stare sui giornali. È figlio di un imprenditore edile, una famiglia comune, niente dinastie sportive. Quando arriva al college, nessuno gli promette nulla. Non riceve nemmeno una borsa di studio. È un walk-on — uno di quei ragazzi che si presentano agli allenamenti sperando solo di essere notati. Alla Texas Tech, Mayfield si guadagna la posizione di quarterback titolare da freshman. Nessuno lo aveva previsto. Nessuno tranne lui.
Dopo un anno di alti e bassi, decide di trasferirsi a Oklahoma, altra università di livello altissimo. Anche lì, di nuovo walk-on, senza borsa di studio, senza garanzie. E anche lì, di nuovo, conquista il posto di titolare. A Norman nasce la leggenda. Mayfield non è solo un quarterback: è un personaggio. Carisma, arroganza, senso teatrale. Cammina a petto in fuori, parla, provoca, esulta davanti agli avversari.
Nel 2017, con 43 touchdown e appena 6 intercetti, vince l’Heisman Trophy, simbolo del miglior giocatore del college football.
Oklahoma vola ai playoff e Baker diventa un’icona nazionale. Ma già allora si percepisce che il confine tra fiducia e presunzione è sottilissimo. Un giorno esulta sventolando una bandiera dei Sooners sul campo degli Ohio State, piantandola simbolicamente nel terreno. Un altro, durante una partita, viene ripreso mentre mima un gesto osceno verso la sideline avversaria.
Sono segnali di un carattere che presto si scontrerà con il mondo rigido e ipercritico della NFL.
Cleveland: la chiamata del destino
Aprile 2018.
Cleveland Browns detiene la prima scelta assoluta del Draft. Dopo anni di fallimenti, decine di quarterback bruciati, un bilancio da incubo (1–31 nelle due stagioni precedenti), la franchigia decide di scommettere su di lui.
Baker Mayfield, pick #1 overall.
È una scelta divisiva. Alcuni lo paragonano a Brett Favre, altri temono che il suo ego esploda al primo problema.
Ma quella sera, Cleveland crede di aver trovato il suo messia.
Il debutto è da favola. Settembre 2018, Thursday Night Football contro i Jets. Mayfield entra a partita in corso e trascina i Browns alla prima vittoria in 635 giorni. Lo stadio esplode, le birre gratuite promesse da Bud Light vengono stappate in tutta la città.
Il salvatore è arrivato. Chiude l’anno con 27 touchdown e 14 intercetti, record NFL per un rookie (superato poi da Justin Herbert). Cleveland finisce 7–8–1: per la città è quasi un miracolo.
Il ragazzo texano sembra aver davvero cambiato il destino di una franchigia intera.
Il mito che si sgretola
Poi arriva il 2019, e con esso la realtà.
Cleveland investe tutto su di lui: Odell Beckham Jr., Jarvis Landry, Nick Chubb, una squadra costruita per vincere. Mayfield viene celebrato come il nuovo volto della lega, il quarterback ribelle che porterà Cleveland nell’élite. Poi inizia la stagione.
Il risultato?
21 intercetti, solo 22 touchdown, un rating di 78.8, e la squadra crolla a 6–10.
La promessa diventa frustrazione. L’arroganza che prima faceva sorridere ora irrita. Sui social, Baker risponde ai giornalisti, litiga con tifosi, e in conferenza stampa perde il controllo. A soli 24 anni, la narrazione cambia completamente: da eroe a problema. Eppure non tutto è perduto.
Nel 2020, sotto il nuovo coach Kevin Stefanski, ritrova equilibrio. La squadra corre, difende, e Mayfield torna a gestire con disciplina. Lancia 26 touchdown e solo 8 intercetti, vince una partita di playoff (contro Pittsburgh) — la prima vittoria ai playoff dei Browns dal 1994. È il picco. Poi, di nuovo, il crollo.
Il dolore invisibile
La stagione 2021 segna la frattura. Mayfield gioca con una spalla sinistra lussata già in Week 2, ma decide di continuare. È un errore fatale. Le statistiche precipitano: 17 touchdown, 13 intercetti, 60,5% di completi, passer rating 83.1. Ogni lancio sembra un dolore fisico, ogni partita una tortura mentale. Ma lui non si ferma. Vuole dimostrare di essere un leader. E così fa, fino al punto di farsi odiare per la sua stessa ostinazione. Cleveland, nel frattempo, perde fiducia. In primavera, arriva la notizia che cambia tutto: i Browns scambiano tre prime scelte e 230 milioni di dollari garantiti per Deshaun Watson, un quarterback accusato di cattiva condotta sessuale da oltre venti donne. Mayfield scopre l’affare dai media. La squadra che aveva contribuito a risollevare lo scarica pubblicamente. Umiliazione pura. Baker chiede la cessione. Nessuno lo vuole.
Carolina: la caduta nel silenzio
Estate 2022. Viene ceduto ai Carolina Panthers per una scelta condizionata al draft. Il nuovo inizio si trasforma subito in un incubo. L’attacco non funziona, la protezione è inesistente, e lui sembra smarrito. In cinque partite: 6 touchdown, 6 intercetti, rating 74.4, e il peggior completion percentage della lega (57,8%). Viene panchinato, poi rilasciato.
A soli 27 anni, Mayfield è un ex. Nessuno parla più di lui come di un titolare NFL. È finita, dicono.
Il miracolo dei Rams
Dicembre 2022.
I Los Angeles Rams, devastati dagli infortuni, cercano un quarterback d’emergenza. Mayfield arriva due giorni prima di una partita in “Thursday Night Football” contro i Raiders. Non conosce il playbook, non sa nemmeno i nomi di tutti i compagni. Eppure, sotto 16–3 a pochi minuti dalla fine, guida un drive di 98 yard e lancia il touchdown della vittoria a Van Jefferson. Il mondo NFL impazzisce. È un momento di pura redenzione sportiva, un istante che ricorda perché tutti avevano creduto in lui. Ma è anche un’illusione: due settimane dopo, la magia svanisce.
Los Angeles chiude 5–12, e Baker torna nel limbo.
Tampa Bay: l’ultima occasione
Marzo 2023.
Tom Brady si ritira. I Tampa Bay Buccaneers hanno bisogno di un quarterback. Firmare Baker Mayfield sembra una scommessa disperata: contratto annuale da 4 milioni di dollari, praticamente un “prove-it deal”. Ma Baker, questa volta, non è più lo stesso. Durante il training camp sorprende tutti per disciplina e leadership. Non parla, lavora.
Il ragazzo arrogante di Cleveland ha lasciato il posto a un uomo che ha conosciuto la paura del vuoto. In Week 1, contro i Vikings, lancia due touchdown e guida i Bucs alla vittoria. Non è spettacolare, ma è efficiente.
E soprattutto, vince.
Chiude la stagione 2023 con 4.044 yard, 28 touchdown, 10 intercetti e un rating di 94.6, portando i Buccaneers ai playoff. Elimina i Philadelphia Eagles nel Wild Card Game con una prestazione quasi perfetta (337 yard, 3 touchdown, 0 intercetti). Nessuno lo aveva previsto. Nessuno, tranne lui.
La rinascita e la maturità (2024–2025)
Nel 2024, Tampa rinnova il suo contratto: tre anni, 115 milioni di dollari, di cui 50 garantiti. È il segno che il ragazzo di Austin ha finalmente trovato casa. Ma la NFL non è mai stabile. La stagione 2024 lo riporta sulla terra: infortuni alla linea offensiva, gioco di corsa inconsistente, e Baker che deve ancora una volta fare troppo. Chiude con 3.678 yard, 23 touchdown, 15 intercetti, 62,9% di completi e rating 86.4. Un passo indietro, ma non una caduta. La differenza è che, stavolta, nessuno dubita più della sua resilienza. Nel 2025, alla guida di un attacco più equilibrato, Mayfield si presenta come uno dei veterani più rispettati dello spogliatoio. I compagni lo ascoltano, i giovani lo seguono. Non è più il protagonista del college arrogante, ma il leader che ha imparato il prezzo della fiducia.
Le cifre che raccontano un’anima
In sette anni di carriera NFL (2018–2024), Baker Mayfield ha:
117 touchdown e 74 intercetti,
completato il 61,9% dei passaggi,
lanciato per oltre 20.000 yard,
e giocato per quattro franchigie diverse.
Numeri medi, direbbero in molti. Ma dietro quei numeri c’è qualcosa che le statistiche non catturano: la capacità di resistere quando tutti ti hanno etichettato come finito. Le peggiori cifre?
 2021: 40,9 QBR — 27º nella lega.
 2022 (Carolina): 1,3 touchdown a partita, 26 sack subiti in 6 gare.
Eppure da quelle macerie è nata la sua versione più autentica. Mayfield è sempre stato più di un quarterback. Ha interpretato spot televisivi (celebre la serie “At Home with Baker Mayfield” per Progressive), è diventato volto di meme, icona pop e bersaglio mediatico. Il suo sorriso, le battute taglienti, la barba curata — tutto sembrava fatto per alimentare un personaggio più grande di lui. Ma a Tampa ha scelto la sottrazione: meno parole, più sostanza. La stampa, che lo aveva ridicolizzato, ora lo rispetta.
Nel 2024 si guadagna il nomination al Walter Payton Man of the Year Award per il suo impegno nelle comunità di Tampa e Cleveland. È il segno di una trasformazione non solo sportiva, ma personale.
A 30 anni, Baker Mayfield ha vissuto tutto: gloria, caduta, solitudine, redenzione.
In un’intervista recente ha detto:
“Ho imparato che non devi piacere a tutti. Devi solo poter guardarti allo specchio e dire: non mi sono arreso.”
È questa la chiave della sua rinascita.
Non i numeri, non i contratti, ma la capacità di cambiare se stesso senza perdere la scintilla che lo ha reso unico. Oggi non è più il quarterback più talentuoso, né il più spettacolare. Ma è forse il più umano.
Conclusione: il quarterback che rifiutò di arrendersi
La storia di Baker Mayfield non è quella di un campione perfetto.
È la storia di un uomo che ha fallito davanti a tutti, e che proprio per questo è diventato un simbolo di autenticità in un mondo che perdona solo la vittoria. Cleveland lo ha tradito, Carolina lo ha dimenticato, Los Angeles lo ha usato, ma Tampa Bay lo ha accolto. E lui, per la prima volta, non deve più dimostrare nulla. Deve solo giocare, vivere, respirare football.
Forse non vincerà mai un Super Bowl, forse sì.
Ma se c’è una cosa che Baker Mayfield ha insegnato a chi lo guarda da anni, è che la grandezza non sempre si misura in anelli.
A volte, la vera vittoria è semplicemente rimanere in piedi quando tutto intorno a te crolla.